
ARTENA:
Lo sperone calcareo che si incunea prepotentemente fra due colline carsiche, a dominare l'intera Valle Latina, è la preponderante caratteristica della cittadina di Artena (15.000 ABITANTI – 375/630 m s.l.m.).
Su di esso le antiche progenie degli artenesi costruirono il loro paese e lo realizzarono con certosina pazienza: una casa appollaiata all'altra; divise, l'una delle altre, soltanto da vicoli, viuzze, erte a gradoni selciati. Il centro storico del paese è lì, in alto: ricostruito nello stesso sito anche dopo la desolazione del 1557 che aveva portato morte e distruzione. Per la verità a quei tempi il paese si chiamava Montefortino ed era valorosamente difeso dai suoi cittadini in ogni occasione: avverso il papato quando ce n'era bisogno, ma anche contro il feudatario di turno che non era mai troppo tenero con gli artenesi.
La storia di questo popolo, però, inizia ben prima di questo territorio i avvenimenti, quando sul Piano della Civita, il punto più alto sul livello del mare, esisteva una città a cui ancor oggi non si riesce a dare un nome. Non è certamente l'Artena descritta da Tito Livio nella sua monumentale Storia di Roma, che trova, invece, una collocazione più a sud; ne tantomeno si può essere certi che quella città fosse Ecetra, la grande capitale del popolo dei Volsci, a cui Dionisio e lo stesso Tito Livio attribuiscono un ruolo primordiale e preminente nelle guerre che opposero nel V e VI secolo Roma ai Volsci. Vi sono presenti oggi e rappresentano un vanto storico e turistico, innumerevoli resti che testimoniano di una presenza umana di dimensioni notevoli. Il sito era straordinario per posizione, a dominare la Vallata del Trerus (l’attuale Sacco), da una parte e la valle che digrada verso il mare Tirreno, che si scorge in lontananza.
Con il nome di Montefortino, successivamente la città si sviluppò più in basso, , straordinariamente arroccata su stessa, fra due coline carsiche.
Quella è oggi considerata la vecchia città, il “paese”, come lo chiamano gli artenesi. Entrare nel centro storico di Artena è come immergersi in una realtà scomparsa. Le case, i vicoli, le immagini sono quelle del 1557, l’anno della desolazione, quando Papa Paolo IV, per punire la famiglia Colonna padrona della città, decise di incendiarla, raderla al suolo, e non contento, obbligò l’aratura e la semina del sale nella pubblica piazza, come a dire “qui non deve crescere più nulla”! L’atto più vergognoso nei confronti della citta fu però l’editto emanato dal pontefice in quell’occasione: chiunque avesse incontrato un montefortinese avrebbe avuto la facoltà di ucciderlo. L’editto di Paolo IV avrebbe lasciato un marchio indelebile sugli abitanti che, scansati e allontanati da tutti, si chiuderanno per secoli all’interno delle mura del borgo, sposandosi tra loro e impoverendosi.
Fortunatamente un paio di anni dopo Artena (Montefortino) rinacque così come la vediamo oggi. Chi la concepì, senza saperlo, costruì un paese che per la sua fisicità è come quella poesia i cui versi si rincorrono gli uni agli altri; s'intersecano in alti equilibri linguistici e t'appaiono subito belli, concretamente belli, anche se difficili da capire, quasi ermetici.
Nel secolo successivo il feudo fu comprato dal celebre cardinale Scipione Borghese, il quale da abile mecenate e grande uomo di cultura qual era, rese la città un gioiello architettonico
all’avanguardia per l’epoca e di grande impatto ancora oggi, costruendo il bellissimo palazzo Borghese e la pubblica piazza a esso sottostante (piazza della Vittoria).
Artena è oggi un paese difficile da comprendere. E' difficile, per esempio, capire come fecero i nostri antenati ad appollaiarsi l'un l'altro con le loro abitazioni; o come fecero a realizzare quei due esempi di straordinaria architettura che sono Santa Croce e Santo Stefano, le chiese nel cuore del centro storico, il fulcro su cui era poggiata la vita dei nostri progenitori.
Il centro storico è esteso, a tal punto che i labirinti che s'intrecciano tra di loro rappresentano un groviglio amplissimo, tanto che ancora oggi costituisce il centro storico non carrozzabile più grande d’Europa.
Un dedalo di vie, viuzze, vicoli, recessi, angoli e riseghe dove ci si perde, ma è bello perdersi per sognare di essere stati catapultati in un'altra epoca. T'aspetti quasi che ti vengano incontro i vecchi artenesi con i loro cappellacci di scorza dura o le donne con il fazzoletto inamidato e la Conca dell’acqua in testa.
Mentre si passeggia per i vicoli e le viuzze si respira l'odore del cibo che esce fuori dalle porte di casa quasi tutte aperte, a testimonianza dell'ospitalità dell'abitante del centro storico che non mancherà di offrirvi un caffé e farvi riposare dopo aver tanto camminato sugli infiniti gradoni selciati.
Solo dopo la metà del XX secolo il borgo antico della città cominciò ad essere abbandonato. Il paese si era allargato nella valle sottostante. Precedentemente la valle era una sequela ininterrotta di orti, campi di arboreti, campi di grano, uliveti, vigne.
Attualmente il borgo di Artena è abitato da un migliaio di persone, per lo più anziani che non hanno mai avuto l’intenzione di abbandonare la loro casa; ma anche da famiglie appena sposate che hanno ritrovato il gusto di abitare in uno dei luoghi più magici che può offrire la nostra Regione.
(Vittorio Aimati)